Il rapporto di lavoro subordinato è regolato da un tipo di contratto in cui coesistono due protagonisti: il datore di lavoro e il prestatore d’opera che percepisce un compenso per il lavoro svolto. Esiste un termine per esprimere questo tipo di rapporto che è denominato sinallagmatico.
Il lavoro, quindi, deve essere retribuito per poter essere considerato tale: è la sintesi estrema del concetto di prestazione lavorativa. Esiste anche un altro fondamento, non meno importante, che è quello del rapporto fiduciario che si crea necessariamente tra chi assume e chi lavora.
Cosa accade però quando questo rapporto di fiducia viene a mancare, perché magari il lavoratore ha comportamenti anomali oppure se il datore di lavoro mette in atto azioni contrarie ai diritti e alla dignità del lavoratore?
Secondo la normativa in vigore il diritto è attivabile in ambo i casi, e si può quindi procedere o con un licenziamento per giusta causa, oppure con una dimissione per giusta causa, due soluzioni che hanno effetti immediati.
Dopo la riforma del diritto del lavoro, avvenuta tra il 2014 e il 2015 durante il governo Renzi, diverse cose sono cambiate, anche in negativo per chi lavora: i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato possono essere licenziati senza che il datore di lavoro sia in dovere di giustificarne la ragione e al lavoratore spetta, in un caso simile, il riconoscimento di un indennizzo e senza il diritto al reintegro.
Diverso è il discorso del licenziamento quando questo scaturisce da un comportamento contrario alle regole che il lavoratore si impegna a onorare dal momento in cui firma il contratto di lavoro.
Approfondiamo questi temi nei paragrafi successivi…
In questo articolo si parla di:
Licenziamento per giusta causa: quando può scattare
Come accennato in precedenza, affinché il datore di lavoro possa procedere con un licenziamento per giusta causa è necessario che il lavoratore abbia compiuto comportamenti non consoni al rapporto di fiducia fondamentale per il proseguimento del rapporto da dipendente.
Quali sono i comportamenti da evitare se non si vuole rischiare di ricevere la lettera di licenziamento che non permetterebbe alcun tipo di appello? Eccoli elencati di seguito:
- Abbandono del posto di lavoro senza giustificato motivo
- Non recarsi al lavoro e fingere di essere malati
- Utilizzare i permessi previsti dalla Legge 104 per motivi diversi da quella di prestare assistenza al familiare disabile
- Ferie non autorizzate
- Lavorare contemporaneamente per un’azienda concorrente
- Aggredire verbalmente un superiore
- Mettere in atto atti d insubordinazione
- Essere violenti fisicamente
- Rubare denaro dalla cassa aziendale
- Non aver dichiarato condanne penali. In tal caso non è necessario che le condanne derivino da azioni commesse durante il turno lavorativo. È chiaro che, in casi di questo genere, l’azienda può avere danni d’immagine di una certa gravità
Procedimenti disciplinari
Se il comportamento del dipendente non rientra nella sfera di quelli considerati violenti o non si tratta di furto, si procede in una prima fase con un procedimento disciplinare che è l’anticamera del licenziamento per giusta causa, a meno che il lavoratore non giustifichi, e in maniera dettagliata, il suo comportamento.
Il datore di lavoro deve comunque comunicare immediatamente il procedimento disciplinare, non appena viene messo a conoscenza dei fatti che saranno quindi contestati al dipendente.
A un primo procedimento disciplinare che non si concluda con il licenziamento possono seguirne altri, ma ciò determinerà una cattiva valutazione generale del lavoratore.
Il licenziamento in tronco
È il termine che si usa quando il comportamento del lavoratore è di tale gravità da porre il datore di lavoro nel pieno diritto di troncare immediatamente il rapporto di lavoro con un licenziamento per giusta causa e senza preavviso.
Il rapporto di fiducia s’intende quindi pregiudicato dalle azioni portate avanti dal lavoratore, che dovrà lasciare subito il posto di lavoro senza alcun tipo di possibilità di reintegro. Le motivazioni possono essere di varia natura: minacce, violenza fisica, furti di denaro o di oggetti di proprietà dell’azienda. Errori che possono apparire assurdi ad alcuni, ma che avvengono più spesso di quanto si possa immaginare.
Decade in questi casi il diritto del lavoratore al periodo di preavviso, in quanto si presuppone che, avendo messo in atto azioni di grave entità, non si possa più proseguire nemmeno per un giorno il perdurare della presenza del lavoratore nei locali aziendali.
Attenzione però: al datore di lavoro è comunque dato l’onere della prova. In fase di giudizio, infatti, esso dovrà portare prove concrete dei comportamenti pregressi, e della loro gravità o prove del singolo comportamento che ha provocato il licenziamento in tronco.
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Questo è un caso del tutto diverso da quelli precedenti, e può scattare in qualsiasi momento nei casi in cui, per esempio, l’azienda non abbia le risorse economiche sufficienti per continuare a pagare uno o più stipendi.
Altre motivazioni valide sono quando l’azienda decide di cancellare un settore produttivo o una particolare figura lavorativa o se, per esempio, l’avvento della digitalizzazione può far risparmiare risorse umane.
Dimissioni per giusta causa e diritto alla NASPI
Al pari di quanto può fare un datore di lavoro che giunga alla decisione di licenziare in tronco un lavoratore, anche il lavoratore subordinato può presentare legittimamente le sue dimissioni per giusta causa.
In questo caso, però, non si tratta solo di gravi comportamenti messi in atto dal datore di lavoro che possono compromettere il rapporto fiduciario: il lavoratore può dare le dimissioni per giusta causa quando, per esempio, sopraggiungano gravi motivi di salute, oppure nel caso delle lavoratrici che decidono di licenziarsi dopo il periodo di maternità o per motivi personali di altra natura, come anche la decisione di trasferirsi in un’altra regione o nazione.
È importante ricordare che, anche nei casi in cui sia il lavoratore subordinato a rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa, la legge consente di poter accedere alla NASPI, l’indennità di disoccupazione, come recita il comma 2 dell’articolo 3 del Jobs Act.
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