Il consumo di birra è in crescita, insieme alla tendenza di ricercare prodotti di qualità che trovino nella produzione artigianale o agricola quella nota diversa e pregiata che ne fa un prodotto molto domandato.
Il birrificio artigianale evoca modalità di produzione che nulla hanno a che fare con gli impianti industriali e con l’utilizzo di additivi e conservanti. Le particolarità organolettiche rivelano un prodotto che negli ultimi anni è passato dall’essere di nicchia e costoso ad un prodotto molto richiesto. La crescente domanda di un sapore antico ha aumentato la produzione artigianale della birra.
La birra industriale, pertanto, è passata nel secondo piano dell’interesse del consumatore. Il birrificio agricolo, invece, si caratterizza per il fatto che la produzione della birra viene effettuata con orzo prodotto in proprio e coinvolge colture agricole con rotazione annuale.
Aprire un birrificio agricolo
All’interno dell’area artigianale, la birra di natura agricola è un prodotto di alta qualità. La sua produzione è un’opzione praticabile da chi possiede un’azienda agricola, anche se l’attività non è affatto facile da avviare.
Il Decreto Ministeriale n. 212/2010 ha definito la birra come prodotto agricolo, con tutte le tutele collegate al fine di garantirne la genuinità e l’artigianalità della sua produzione. L’autoproduzione ha ad oggetto l’orzo coltivato nel proprio podere, nella misura di almeno il 51%, che può essere impiegato per la produzione di birra da destinare al consumo e alla commercializzazione.
La coltivazione deve rispettare l’avvicendamento delle colture e l’utilizzo delle migliori tecnologie per ottenere un prodotto rispettoso degli standard di qualità. Essendo un prodotto di grande valore è sottoposto a tutela, tanto che la sua produzione deve seguire le direttive Ministeriali, che vanno dalle modalità di coltura e arrivano al prodotto finito.
Ad esempio, la maltizzazione dell’orzo deve avvenire con macchinari artigianali e non industriali e si devono mettere in atto tutti gli accorgimenti necessari affinché la materia prima mantenga qualità e naturalezza. Pertanto è assolutamente escluso l’impiego di conservanti e anche il sottoporre la birra al processo di pastorizzazione.
Aprire un birrificio agricolo, quindi, può essere davvero un’occasione per i giovani ma anche per gli imprenditori maturi. In entrambi i casi è necessaria una buona esperienza in campo agricolo. L’attività risulta vincente, non solo perché il consumo di birra è in aumento, ma anche perché in consumatore è sempre più alla ricerca di una prodotto sano e genuino, e a tale scopo passa in secondo piano il giustificato maggior prezzo da corrispondere.
Allo scopo di tutelare e promuovere l’attività dei birrifici agricoli, il 2003 vede la nascita del COBI, Consorzio Italiano di Produttori dell’Orzo e della Birra. Si tratta dell’unico consorzio italiano che riunisce più di 80 agricoltori e coltivatori di orzo che, contemporaneamente, sono orgogliosi produttori di birra agricola.
Il COBI vigila sulle aziende associate, accertandosi che rispettino le regole e i principi che occorrono per ottenere un prodotto tracciato e di ottima qualità. Il COBI, per differenziare ulteriormente il prodotto di birra agricola e per proteggerne l’origine e il risultato, ha registrato un proprio marchio, Birragricola, che eleva la quantità di orzo da coltivare in proprio, o comunque all’interno del Consorzio stesso, dal 51% al di sopra del 70%.
Un aspetto che accomuna tutti i produttori di birra agricola è l’essere innanzitutto agricoltori e amare il territorio e il proprio lavoro. Il concetto di birra agricola, che si collega direttamente alla produzione in proprio e alla filiera a chilometro zero, è un atto di promozione economica e turistica verso il proprio territorio oltre che d’amore, per le metodologie rurali che oggi fanno risaltare il pregio di un prodotto che rischiava di sparire, sormontato dai metodi industriali e dalla produzione di massa.
Aprire un birrificio artigianale
La principale distinzione tra birrifici agricoli e artigianali consiste nel fatto che i primi devono produrre in proprio almeno il 51% del malto complessivo, mentre i secondi possono acquistare malto di qualunque provenienza dove meglio preferiscono. In pratica, i birrifici agricoli costituiscono un sottogruppo dei birrifici artigianali, in cui vigono norme e regole più stringenti per garantire un prodotto di elevata qualità.
La birra artigianale è prodotta in birrifici di piccola dimensione. Il requisito dimensionale interessa non solo gli impianti che devono essere professionali ma non industriali, ma anche il volume della produzione. Infatti, il volume non deve essere superiore a 200 mila ettolitri di birra in un anno. Inoltre, la birra non può essere sottoposta a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione. Queste caratteristiche, unite all’assenza di conservanti, ne fanno un prodotto di durata limitata nel tempo. Quello dei birrifici artigianali prende piede in America a partire dagli anni ottanta e si diffonde anche in Europa ed in Italia.
I birrifici artigianali si possono distinguere in tre categorie:
- I micro birrifici, di dimensioni molto limitate e il cui prodotto finito è destinato quasi totalmente alla piccola o locale distribuzione;
- I brewpub, cioè i locali che producono birra per il consumo interno;
- I beer firm, ovvero gli impianti preesistenti che vengono affittati a privati, in modo da produrre birra artigianale secondo volumi non raggiungibili con un normale impianto casalingo.
In particolare, i micro birrifici in Italia sono circa 650, di cui 200 nati negli ultimi tre anni. La loro produzione media tocca al massimo 500 ettolitri di birra in un anno.
L’idea di aprire un micro birrificio può portare ad un successo annunciato, se si considera la scarsa concorrenza e, contemporaneamente, il consumo di birra in Italia che ha raggiunto nel 2014 i 17,7 milioni di ettolitri.
Dal punto di vista normativo, non sono richiesti specifici titoli di studio. Basta rispettare le leggi del settore alimentare, che comprendono numerosi aspetti: dall’origine degli alimenti, alla salubrità, all’igiene, all’haccp, all’emissione in atmosfera protettiva, alla gestione dei sottoprodotti e dei rifiuti, all’etichettatura, alle caratteristiche degli imballaggi, alla data di scadenza e così via.
L’investimento iniziale, partendo da zero e comprensivo di ogni cosa, non è inferiore ai 150 mila euro. Il consiglio è quello di puntare sul Made in Italy, che rappresenta un punto fermo e, per la produzione di birra, si presta molto visto che in ogni Regione d’Italia troviamo il suo cereale. Infine, di cercare di differenziarsi, per offrire un prodotto unico. No alle improvvisazioni.
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